A parte l'ironia del titolo, oggi noi insegnanti riprendiamo il nostro lavoro a scuola, a fare cosa? Riunioni programmatiche, collegio docenti ed organizzazione didattica del nuovo anno. Mentre voi ragazzi potete godere di altre due settimane di vacanza, la scuola a Napoli apre il 15 settembre, per fare un po' di ripetizione delle materie studiate ed arrivare a scuola col cervello fresco sì, ma non svuotato dall'ozio estivo. Ricordatevi, infatti, che i primi giorni di scuola sono dedicati a delle prove sulle varie materie, che servono a capire cosa avete appreso e non è andato perduto. Sarebbe un peccato non presentarvi bene? Non è così? Allora buon lavoro anche a voi!
Invito tutti, specialmente i genitori, a leggere questo simpatico articolo di Giovanna Zucconi "Non basta dare i numeri" (per leggerlo clicca su read more...)
Non basta dare i numeri GIOVANNA ZUCCONI
A scuola in grembiule, o con i jeans e la felpa, in uniforme, in bikini, vestiti da puffi o da palombari. Con il fiocco e con le trecce, oppure rapati a zero, in blazer e cravattino. In ordine sparso o allineati, in fila per tre col resto di due.
Con una, due, tre, quattro maestre. Per settimane scolastiche di quattro, cinque, sei, sette giorni. Cantando l’inno nazionale sull’attenti, o invece un rap di Fabri Fibra. E alla fine del quadrimestre, o del trimestre, o del pentamestre, portando a casa una pagella con i voti da uno a dieci, o con i giudizi, o anche con dei disegnini esplicativi. A noi va bene tutto. Davvero. Solo, una domanda: ma che scuola è, questa di cui stiamo (stanno) discutendo? Ci si va a imparare, e che cosa, e come?
Il «dacci oggi il nostro annuncio quotidiano» da parte del ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, sta diventando un’abitudine alla quale non sapremmo più rinunciare. Il grembiule sì o no, la maestra unica sì o no, i voti numerici sì o no, il cinque in condotta sì o no, perfino i professori meridionali sì o no: sono tutte questioni interessantissime, sono dibattiti appassionanti, dubbi cruciali. Sui quali però decidiamo di sospendere ogni opinione. A noi va bene tutto, ripetiamo. E non perché ci sfugga quanto la forma sia sempre sostanza, e che quindi dietro l’ordine nell’abbigliamento degli studenti ci sia un’idea di Ordine, o un’idea di Disciplina nella stretta sulla condotta. Però, ecco, viene il dubbio che i ripetuti proclami di un ritorno al passato dei grembiuli e della Signora Maestra, siano altrettanti bocconcini dati in pasto a una società disorientata, spaventata, e quindi incline alla retromarcia: alla restaurazione. Il dubbio che il ritorno al passato sia una chimera consolatoria, o al meglio un wishful thinking (non traduciamo perché, dopo i conclamati successi della morattiana scuola delle tre I, tutti certamente capiscono l’inglese).
La scuola degli insegnanti cialtroni (ce ne sono), degli studenti indisciplinati e maleducati (ce ne sono), dei genitori che intervengono a giustificare ogni manchevolezza dei loro bambini (ce ne sono, e quanti), questa scuola - che è una parte della scuola di oggi, non tutta fortunatamente - è insopportabile. Ma altrettanto insopportabile era quella dei professori autoritari ma non autorevoli, degli studenti sottomessi, dei genitori assenti, che era una parte, neanche trascurabile, della scuola di ieri.
Vorremmo, nella scuola e non soltanto nella scuola, un ritorno al futuro: non a un passato che non c’è più né potrebbe più riproporsi. Vorremmo edifici scolastici a norma, mentre a centinaia sono addirittura illegali. Vorremmo sapere quali mezzi, quante risorse sono destinati all’istruzione, ora che abbiamo appreso che il 97 per cento del bilancio ministeriale va in stipendi agli insegnanti e al resto del personale: e qualche briciola appena all’innovazione, agli investimenti, appunto al futuro. Vorremmo soprattutto sapere che cosa si andrà a insegnare e a imparare, quali materie, per formare a quali professioni, con quale sguardo alla competizione internazionale. Ogni genitore attuale conosce il rituale dell’open day: ciascun liceo cittadino presenta alla clientela la propria offerta di corsi complementari mirabolanti, di laboratori alternativi, di attività strepitose, omettendo giocoforza di fornire l’unica informazione che conta, ovvero se gli insegnanti sanno e sanno trasmettere passione. Il dibattito su voti e grembiuli e altri dettagli rischia di diventare un rituale analogo, propagandistico.
Purché chi è in cattedra sia sapiente e sensibile e motivato, purché ciò che trasmette sia vitale, purché gli esclusi siano accolti, a noi francamente poco importa se scriverà in pagella «8» o «ottimo», e se avrà dinanzi grembiuli o minigonne. Facciamo pure la manicure al corpaccione malato della scuola pubblica, ma non soltanto quella, please.
29/08/2008 La Stampa
Invito tutti, specialmente i genitori, a leggere questo simpatico articolo di Giovanna Zucconi "Non basta dare i numeri" (per leggerlo clicca su read more...)
Non basta dare i numeri GIOVANNA ZUCCONI
A scuola in grembiule, o con i jeans e la felpa, in uniforme, in bikini, vestiti da puffi o da palombari. Con il fiocco e con le trecce, oppure rapati a zero, in blazer e cravattino. In ordine sparso o allineati, in fila per tre col resto di due.
Con una, due, tre, quattro maestre. Per settimane scolastiche di quattro, cinque, sei, sette giorni. Cantando l’inno nazionale sull’attenti, o invece un rap di Fabri Fibra. E alla fine del quadrimestre, o del trimestre, o del pentamestre, portando a casa una pagella con i voti da uno a dieci, o con i giudizi, o anche con dei disegnini esplicativi. A noi va bene tutto. Davvero. Solo, una domanda: ma che scuola è, questa di cui stiamo (stanno) discutendo? Ci si va a imparare, e che cosa, e come?
Il «dacci oggi il nostro annuncio quotidiano» da parte del ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, sta diventando un’abitudine alla quale non sapremmo più rinunciare. Il grembiule sì o no, la maestra unica sì o no, i voti numerici sì o no, il cinque in condotta sì o no, perfino i professori meridionali sì o no: sono tutte questioni interessantissime, sono dibattiti appassionanti, dubbi cruciali. Sui quali però decidiamo di sospendere ogni opinione. A noi va bene tutto, ripetiamo. E non perché ci sfugga quanto la forma sia sempre sostanza, e che quindi dietro l’ordine nell’abbigliamento degli studenti ci sia un’idea di Ordine, o un’idea di Disciplina nella stretta sulla condotta. Però, ecco, viene il dubbio che i ripetuti proclami di un ritorno al passato dei grembiuli e della Signora Maestra, siano altrettanti bocconcini dati in pasto a una società disorientata, spaventata, e quindi incline alla retromarcia: alla restaurazione. Il dubbio che il ritorno al passato sia una chimera consolatoria, o al meglio un wishful thinking (non traduciamo perché, dopo i conclamati successi della morattiana scuola delle tre I, tutti certamente capiscono l’inglese).
La scuola degli insegnanti cialtroni (ce ne sono), degli studenti indisciplinati e maleducati (ce ne sono), dei genitori che intervengono a giustificare ogni manchevolezza dei loro bambini (ce ne sono, e quanti), questa scuola - che è una parte della scuola di oggi, non tutta fortunatamente - è insopportabile. Ma altrettanto insopportabile era quella dei professori autoritari ma non autorevoli, degli studenti sottomessi, dei genitori assenti, che era una parte, neanche trascurabile, della scuola di ieri.
Vorremmo, nella scuola e non soltanto nella scuola, un ritorno al futuro: non a un passato che non c’è più né potrebbe più riproporsi. Vorremmo edifici scolastici a norma, mentre a centinaia sono addirittura illegali. Vorremmo sapere quali mezzi, quante risorse sono destinati all’istruzione, ora che abbiamo appreso che il 97 per cento del bilancio ministeriale va in stipendi agli insegnanti e al resto del personale: e qualche briciola appena all’innovazione, agli investimenti, appunto al futuro. Vorremmo soprattutto sapere che cosa si andrà a insegnare e a imparare, quali materie, per formare a quali professioni, con quale sguardo alla competizione internazionale. Ogni genitore attuale conosce il rituale dell’open day: ciascun liceo cittadino presenta alla clientela la propria offerta di corsi complementari mirabolanti, di laboratori alternativi, di attività strepitose, omettendo giocoforza di fornire l’unica informazione che conta, ovvero se gli insegnanti sanno e sanno trasmettere passione. Il dibattito su voti e grembiuli e altri dettagli rischia di diventare un rituale analogo, propagandistico.
Purché chi è in cattedra sia sapiente e sensibile e motivato, purché ciò che trasmette sia vitale, purché gli esclusi siano accolti, a noi francamente poco importa se scriverà in pagella «8» o «ottimo», e se avrà dinanzi grembiuli o minigonne. Facciamo pure la manicure al corpaccione malato della scuola pubblica, ma non soltanto quella, please.
29/08/2008 La Stampa
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