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La "mission" della scuola italiana: dibattito di fine agosto


Cari alunni, genitori e colleghi,
sfogliando i giornali quest'estate, credo che come me, avrete notato che in pieno agosto, forse per riempire le pagine dei nostri quotidiani, che oltre olimpiadi, questione georgiana e carenza di gossip per via della nostra depressione economica e non solo, sono stati pubblicati diversi articoli sulle sanzioni che Renato Brunetta, ministro dell'Innovazione e della Funzione Pubblica, ha voluto far applicare per risolvere il problema degli impiegati fannulloni, in particolare, per il momento, quelli delle FF.SS. ed alcuni articoli sul futuro della scuola italiana (a parte le notizie texane sugli insegnanti armati).
Da parte mia, accolgo sempre come buon segno per il nostro paese parlare di scuola e sul Corriere della Sera ho letto la provocazione, il "grido di dolore" del politologo Ernesto Galli della Loggia per la situazione della scuola italiana, a cui hanno risposto il neo-ministro della pubblica istruzione Mariastella Gelmini ed il ministro dell'economia Giulio Tremonti.
Il min. Gelmini ha sottolineato i punti di forza del suo programma: il voto di condotta, la divisa scolastica, l'insegnamento dell'educazione civica, il rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale, e anche il "ritorno al maestro unico", aspetto questo in via di discussione. Tremonti, invece, afferma la necessità della reintroduzione dei voti come misura di valutazione, contro i giudizi troppo soggettivi, e la conferma dei libri di testo per venire incontro alle famiglie.
Qui di seguito riporto, per chi ha voglia di leggerli, l'intervento di Galli della Loggia ed il dibattito che ha suscitato, più tre brevi articoli di Francesco Alberoni: "Libri migliori e più disciplina 
La scuola va rieducata così", "L’insegnante troppo amico spegne la creatività dell’allievo" e "La vera istruzione? Scienza, letteratura e lavoro manuale" che trovano il mio pieno consenso.
A presto,
prof. Rosa Armellino



LA CRISI DI UN’ISTITUZIONE
Una scuola per l'Italia

di Ernesto Galli Della Loggia


Tra neppure un mese la macchina della scuola italiana ricomincerà a macinare lezioni ed esami. Una gigantesca macchina fatta di circa un milione di dipendenti, di migliaia di edifici frequentati da milioni di studenti, pronta anche quest’anno ad allestire milioni di iniziative le più varie, a sfornare tra circolari, lettere, verbali e registri, il solito astronomico numero di tonnellate di carta. Una macchina gigantesca, appunto. Ma senz’anima: che non sa perché esiste né a che cosa serva, e che proprio perciò si dibatte da decenni in una crisi senza fine. Crisi la cui gravità non è testimoniata tanto dai pessimi risultati ottenuti dagli studenti della nostra scuola nei confronti internazionali, ma da qualcosa di più profondo e di più vero. Dal fatto che essa si sente un’istituzione inutile e in realtà lo è: apparendo tale, e dunque votata ineluttabilmente al fallimento, innanzi tutto alla coscienza dei suoi insegnanti, dei migliori soprattutto.
La scuola italiana non riesce più a conferire alcuna autorevolezza a nessun fatto, pensiero, personaggio o luogo di cui si parli nelle sue aule. Non riesce più a creare o ad alimentare in chi la frequenta alcun amore o alcun rispetto, alcuna gerarchia culturale. E perciò non serve a legittimare culturalmente — e cioè ideologicamente o storicamente— più nulla: non il Paese o il suo passato, la sua tradizione, e tanto meno lo Stato, la Costituzione, il sistema politico: nulla. Si possono tranquillamente frequentare le sue aule e non essere mai sfiorati dal sospetto che l’azione del conte di Cavour, o il Dialogo sopra i massimi sistemi, o una terzina del Paradiso rappresentano vertici d’intelligenza, di verità e di vita, posti davanti a noi come termini di confronto ideali, ma anche concretissimi, destinati ad accompagnarci in qualche modo per tutta l’esistenza. Il sintomo politico più evidente della crisi in cui versa la scuola è il sostanziale disinteresse, venato di disprezzo, di cui, al di là di tutte le chiacchiere di maniera, essa è ormai circondata dall’intera classe dirigente, a cominciare per l’appunto dalla classe politica.
Se il responsabile del Tesoro può impunemente tagliare i fondi destinati all’istruzione, infischiandosene di ogni possibilità di commisurare i risparmi alle esigenze di qualcuna delle ipotesi di cambiamento proposte dal volenteroso ministro Gelmini, ciò accade precisamente perché in realtà Tremonti, come tantissimi altri suoi colleghi, non sa a che cosa questa scuola possa davvero servire, e in essa non riesce a vedere altro che una macchina erogatrice e sperperatrice di risorse. Come di fatto, peraltro, essa rischia ormai di essere. La verità è che la scuola pubblica che l’Europa conosce da due secoli non è solo un sistema per impartire nozioni. Nessuna scuola autentica del resto lo è mai stata: deve impartire nozioni, come è ovvio, ma può riuscirvi solo se insieme—aggiungerei preliminarmente — è anche qualcos'altro, e cioè se al suo centro vi è un’idea, una visione generale del mondo. La scuola pubblica europea è nata intorno al compito di testimoniare un’idea del proprio Paese, i caratteri e le vicende della collettività che lo abita, sentendosi chiamata a custodire l’immagine di sé e gli scopi di una tale collettività. 
Non può esistere una scuola pubblica mondial-onusiana, una scuola italiana che parli in inglese o esperanto. Un sistema d’istruzione pubblico appartiene sempre a un contesto culturale nazionale. Questo è il punto, dunque qui sta il cuore del problema: alla fine, nella sua sostanza più vera, la crisi della scuola italiana non è altro che la crisi dell’idea d’Italia. E’ lo specchio della profonda incertezza di coloro che a vario titolo la guidano o le danno voce - i governanti, gli apparati dello Stato, gli imprenditori, gli intellettuali, l’opinione pubblica - circa il senso e il rilievo del suo passato, circa i suoi veri bisogni attuali e quello che dovrebbe essere il suo domani. Il profondo marasma della nostra scuola, il grande spazio preso in essa dal burocratismo, dalle riunioni, dalle questioni di metodo, dalle futilità docimologiche, a scapito dei contenuti, è lo specchio di un Paese che non riesce più a pensarsi come nazione da quando la sua storia ha attraversato negli anni ’60-’80 la grande tempesta della modernizzazione.
E’ da allora che l’idea del nostro passato si sta dileguando insieme alla consapevolezza dei suoi grandi tratti distintivi. E non a caso è da allora che è diventato sempre più difficile anche organizzare il presente e immaginare il futuro. Da qui, per esempio, ha tratto origine la crisi che ha colpito a suo tempo le tradizionali culture politiche della democrazia repubblicana, e sempre qui sta oggi la difficoltà di vederne sorgere di nuove. Da qui, anche, la generale sensazione d’immobilismo che abbiamo da anni, quasi che dopo il trauma della modernizzazione non sapessimo più ritrovarci, non riuscissimo più a riprendere il bandolo della nostra storia e dunque non riuscissimo più a muoverci. Negli anni ’90 la cesura che era andata producendosi nei tre decenni precedenti è venuta finalmente alla luce: ha definitivamente preso forma un’Italia nuova, ma questa Italia nuova non riesce più a pensare se stessa, non riesce più a pensarsi come un intero, come nazione, a progettare il suo futuro, perché non riesce più a incontrare il suo passato.
Riappropriarsi di questo passato e della propria tradizione per ritrovarsi: questo è il compito urgente che sta davanti al Paese che sa e che pensa. Ed è alla luce di questo compito che esso deve ripensare anche l’intera istituzione scolastica, la quale solo così potrà riavere un senso e una funzione, e sperare di tornare alla vita. Ridare profondità storico-nazionale alla scuola, ma naturalmente in vista delle esigenze che si pongono all’Italia nuova di oggi e tenendo conto dell'ambito e dei contenuti propri degli studi. E cioè, non volendo sottrarmi all’onere di qualche indicazione, mirare innanzi tutto a ricostituire culturalmente (e per ciò che riguarda l’istituzione anche organizzativamente) il rapporto centro- periferia e Nord-Sud, riaffermando il carattere multiforme ma unico e specifico dell'esperienza italiana; in secondo luogo porre al centro, ed esplorare, il nostro tormentato rapporto con la modernità e i suoi linguaggi, mettendone a fuoco debolezze e punti di forza e cercando anche in questa maniera di costruirci un modo nostro di stare nei tempi nuovi, di averne l’appropriata consapevolezza senza snaturamenti e scimmiottamenti; e infine ribadire la funzione della scuola nella costruzione della personalità individuale, principalmente attraverso l’apprendimento dei saperi, delle nozioni, e la disciplina che esso comporta.
Tutto ciò facendo piazza pulita delle troppe materie e degli orari troppo lunghi che affliggono la nostra scuola, e ricentrando con forza i nostri ordinamenti scolastici intorno a due capisaldi: da un lato la lingua italiana e la storia della sua letteratura, cioè intorno alla voce del nostro passato, e dall’altro le matematiche, cioè il linguaggio generale del presente e del futuro universali. A questo punto ci si può solo chiedere: esiste un governo, esistono dei ministri in Italia? Personalmente mi ostino a pensare di sì. E a credere che ogni tanto gli capiti perfino di ascoltare i gridi di dolore, come questo, che si levano dai giornali.
21 agosto 2008

DIBATTITO SU GALLI DELLA LOGGIA / 1
Quarant' anni da smantellare
di MARIASTELLA GELMINI


Caro direttore Giusto e ingeneroso. Così mi appare l' editoriale di ieri di Ernesto Galli della Loggia sulla scuola italiana e la sua crisi. Giusto nell' analisi sulla condizione della scuola di oggi, nel cogliere la sua «perdita di senso». Dal 1968 a oggi la scuola è diventata quello che non può e non deve essere: un ammortizzatore sociale, una macchina erogatrice di stipendi - per giunta inadeguati - per gli insegnanti. Una tipografia di diplomi - inutili e inutilizzabili - per gli studenti. Un mostro burocratico produttore di normative e circolari che si contraddicono l' una con l' altra. In quarant' anni di ideologia «politicamente corretta», di dominio ideologico della sinistra, la scuola è diventato tutto questo e ha perso il senso della sua missione: la formazione culturale e professionale dei giovani e, insieme, la costruzione del futuro di una nazione. Galli della Loggia è però ingeneroso quando accusa il governo di considerare la scuola niente più che un inutile costo da tagliare. Da quando ho assunto la responsabilità di ministro ho avanzato alcune proposte per cambiare uno stato di cose non più tollerabile. Voglio ricordarne alcune. Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell' educazione civica, ritorno al maestro unico, rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale. Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. Sono queste le parole chiave della scuola che vogliamo ricostruire, smantellando quella costruzione ideologica fatta di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana. Idee che anche il ministro Tremonti ha esposto in una recente intervista. Tutto questo passa per un' indispensabile e difficile ristrutturazione della scuola, di cui il governo, e in particolare chi scrive, si sono assunti la responsabilità. Ho condiviso finalità e misure della manovra economica del governo per i prossimi tre anni, oggi legge dello Stato; quella manovra prevede di ridurre il numero degli insegnanti e del personale ausiliario di meno del 10% entro il 2011. In un Paese che ha oggi il più elevato numero di addetti della scuola - ben un milione e 300mila - in rapporto al numero degli studenti, è la prima cosa da fare per riorganizzare la scuola. Non possiamo pensare di cambiare fino a quando ci rassegneremo all' idea che il 97% delle risorse destinate alla scuola serve a pagare stipendi bassi e appiattiti. Inoltre abbiamo introdotto un principio nuovo e virtuoso: un terzo dei risparmi sarà destinato a investimenti per migliorare la scuola, per cominciare a spargere i semi del merito e dare un senso alla parola autonomia. Sta in queste considerazioni la nostra visione di una scuola che riconquisti il senso della sua missione, che restituisca al futuro la parola speranza, che rimetta al centro il merito e la responsabilità. Nella mia audizione alle commissioni parlamentari ho parlato della necessità di tornare alla «quarta I» di italiano, intesa come letteratura, storia, tradizione, cultura. Noi vogliamo una scuola che insegni a leggere, scrivere e far di conto. Una scuola in cui si torni a leggere I Promessi Sposi e dove non si dica più che lo studente dovrà «padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l' interazione comunicativa verbale in vari contesti». Ringrazio Galli della Loggia per avermi riconosciuto buona volontà, e nel ringraziarlo gli chiedo di riconoscere a me, a tutto il governo e alla maggioranza una visione, una cultura, un' idea dell' Italia e del suo futuro, e, insieme, un progetto per la scuola italiana. Un progetto che, non mi stancherò mai di ripeterlo, è aperto a tutti i contributi e vorrei vedesse tutti i protagonisti della scuola - studenti, insegnanti, famiglie - consapevoli del fatto che è impossibile difendere lo status quo e partecipi di un corale impegno, un impegno nazionale, per restituire alla scuola il senso della sua missione. ministro dell' Istruzione
Gelmini Mariastella
Pagina 37
(22 agosto 2008) - Corriere della Sera

DIBATTITO SU GALLI DELLA LOGGIA / 2
Il passato e il buon senso
di GIULIO TREMONTI


Caro direttore, ho letto con molto interesse l' articolo di Ernesto Galli della Loggia sulla scuola. Nell' articolo l' autore sostiene - tra l' altro - che sarebbero stati «impunemente tagliati i fondi destinati alla istruzione» perché non si sa «a che cosa questa scuola può davvero servire». Non è così. Nei primi sei mesi del 2008 il prodotto interno lordo italiano è sceso verso lo zero, mentre il deficit pubblico è salito verso il 3%. Dato questo, non c' erano e non ci sono alternative alla scelta di ridurre la spesa pubblica. Tutte le voci di spesa pubblica sono in sé meritevoli: la sanità, le pensioni, l' assistenza sociale, i lavori pubblici, la sicurezza, la difesa, l' istruzione ecc., ma l' interesse generale non è la somma impossibile degli interessi particolari. La novità della Finanziaria per il 2009-2011 non sta comunque tanto nel fatto che le voci di spesa sono ridotte in assoluto, quanto nel fatto che ogni ministro può fare, all' interno del suo bilancio, la sua finanziaria, finanziando o definanziando le voci di spesa che considera più meritevoli. E' così anche per la scuola. Per inciso: sulla scuola i cosiddetti tagli sono solo l' allineamento progressivo agli standard europei. Per la verità, l' intervento di Galli della Loggia va oltre la questione dei tagli perché vede nella scuola italiana l' emblema dell' incertezza che in negativo caratterizza il tempo presente. E' così. Ma non è così solo in Italia e non è irrilevante rispetto a questa incertezza il fatto che tutte le ideologie introdotte dal ' 900, tanto quelle fondamentali - il socialismo, il fascismo, il comunismo - quanto quelle marginali - il nullismo del ' 68 ed il mercatismo liberista - sono, al principio di questo nuovo secolo, in crisi, tutte rifiutate dai giovani che cercano altri, nuovi, diversi valori. Può essere invece il ritorno al passato e all' 800, e molti segni sono in questa direzione, può essere che dall' attuale «marasma» prenda inizio un nuovo futuro. Tornando alla scuola vorrei fare due proposte non economiche. La prima è sui voti. La seconda è sui libri. Il ' 68 ha portato via i voti sostituendoli con i giudizi. I numeri sono una cosa. I giudizi sono una cosa diversa. I numeri sono una cosa precisa, i giudizi sono spesso confusi. Ci sarà del resto una ragione perché tutti i fenomeni significativi sono misurati con i numeri. Un terremoto è misurato con i numeri della scala Mercalli o Richter. Il moto marino è misurato in base alla scala numerica della «forza», la pendenza di una parete di montagna in base ai «gradi», la temperatura del corpo umano ancora in base ai «gradi». La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. I numeri sono insieme precisi e semplici. Il messaggio che trasmettono è un messaggio diretto. Se gli stessi fenomeni - terremoto, moto marino, pendenza, temperatura corporea - fossero espressi non con numeri ma attraverso frasi complesse con finalità descrittive, il messaggio resterebbe impreciso. E' esattamente quello che accade nei due segmenti di base e perciò fondamentali della nostra scuola, quello elementare e quello medio. Qui non ci sono più i numeri perché al loro posto sono stati inventati i giudizi. Tra numeri e giudizi c' è una differenza profonda. Ogni valutazione deve mettere capo a una classifica. Questa è la logica della valutazione. Se non c' è una classifica, non c' è neanche una reale valutazione. Nella scuola inglese, ad esempio, gli studenti sono addirittura classificati in un ordine rigido. In ogni classe esiste un primo classificato, un secondo classificato e così via. Mi sembra francamente un' esagerazione. Ma non mi sembra affatto un' esagerazione tornare a dare i voti come una volta: 10, 9, 8, e cosi via, perché la verità è semplice; dare un giudizio senza una classifica significa non dare affatto un giudizio reale. Il voto non esprime un arbitrio ma al contrario obbliga l' insegnante e l' alunno ad assumersi precise responsabilità, a produrre una sintesi dei diversi materiali che stanno alla base di una valutazione di un allievo. Dove non c' è un voto, non viene fornita una reale informazione sul reale andamento scolastico dello studente, né a quest' ultimo né alla sua famiglia. La logica del giudizio senza vincoli numerici è troppo spesso una logica dell' irresponsabilità, dell' ambiguità, del detto-non detto, dell' interpretazione casuale. I numeri possono, tra l' altro, riflettere una «media». Invece con gli aggettivi e gli avverbi di cui sono riempiti i cosiddetti giudizi si fa solo confusione. In sintesi c' è un numero da togliere e ci sono dei numeri da introdurre. Il numero da togliere è il numero 1968, sintetizzato in 68. I numeri da mettere: 10, 9, 8, 7, 6 etc. L' idea che mi pare giusta è quella di mettere al posto dei «nuovi» giudizi i «vecchi» numeri. Il giudizio può accompagnare il voto, renderlo chiaro, esplicitarlo, in una parola motivarlo. Ma non può sostituirlo. Nella loro strutturale imprecisione i giudizi da soli sono normalmente causa di confusione. Per come sono strutturati e «bizantinati», basati su formule che tendono ad essere ipocrite, psicopedagogiche, tautologiche, caramellose, offensivo-giudiziarie o presunte tali, i giudizi sembrano fatti apposta per mandare fuori di testa i genitori o per stendere i ragazzi sul lettino dello psicanalista o per portarli tutti insieme da un avvocato che ti predispone il ricorso - quasi sempre vincente - davanti al Tar. Tutto questo mina gravemente un fondamento tradizionale della nostra società, che è quello del rapporto necessario di autorità e insieme di fiducia che ci deve essere tra l' allievo, la famiglia e l' insegnante. Si figuri poi quando gli insegnanti sono tre o quattro per ogni classe. E poi dopo i voti i libri. Nella scuola italiana da troppo tempo (e non era così prima: è un effetto negativo della «modernità») i libri di testo cambiano con una frequenza forsennata e parossistica. Cambiano per scelta del docente, ma cambiano soprattutto perché gli editori stampano quasi ogni anno una nuova edizione di ciascun testo, in modo che quelli dell' anno precedente diventano automaticamente vecchi - fa più fino dire obsoleti - e con ciò sostanzialmente inutilizzabili. Su questa pratica si possono dire due cose essenziali: è ingiustificata; è contraria agli interessi delle famiglie. Ingiustificata perché non vi è alcuna reale esigenza didattica per il cambio annuale dei libri di testo. Le scuole non sono dottorati di ricerca dove si è sempre sulla frontiera del cambiamento. A livello di scuola elementare, media e superiore la matematica è quella di sempre. Quella dell' Ottocento e del Novecento. Sappiamo bene che la frontiera della scienza non è ferma, che avanza continuamente. E tuttavia sappiamo che la base necessaria e sufficiente per l' apprendimento scolastico non muta e non avanza necessariamente da un anno con l' altro. La stragrande maggioranza dei contenuti di insegnamento della matematica, della storia, della letteratura, resta stabile durante lunghi periodi di tempo. Sicuramente non cambia per periodi di cinque anni. Laddove vi sono reali cambiamenti si può prevedere che a manuali «consolidati» per cinque anni vengano aggiunte delle piccole appendici che riportino i fatti nuovi che siano davvero rilevanti o le nuove scoperte scientifiche. Solo questo tipo di manuali dovrebbe essere adottato. Certo, ci sono anche le novità nel metodo di insegnamento. Non pare che abbiano funzionato granché bene se emerge per esempio che il 60% degli alunni italiani dovrebbe essere bocciato in matematica. Se la realtà è questa vuol dire che a essere bocciati non dovrebbero essere solo gli allievi ma anche i loro professori o più in generale la scuola nel suo insieme, metodi di insegnamento «avanzati» compresi. A fare gli esami non dovrebbero essere solo gli alunni ma anche la scuola nel suo insieme. Il cambio annuale dei libri di testo è poi contrario all' interesse delle famiglie. Impedisce di passare i libri dai figli più grandi ai più piccoli, come era una volta. O di comprare i libri sul mercato dell' usato. Dopo essere stati utilizzati un anno solo, i testi diventano inutili. Tra l' altro questa pratica disabitua gli studenti a trattare i libri con cura, a considerarli oggetti di valore e dunque degni di attenzione. I libri non possono essere un prodotto usa e getta. Nel 2004 sul Corriere ho scritto un articolo sull' «E-book». L' obiezione che mi fu fatta era sulla sacralità del libro. Era un' obiezione fondata. A me sembra che quello della scuola italiana si presenti come un mondo fatto al contrario. Un mondo in cui non è la scuola a servire le famiglie, ma il «kombinata buro-scolastico» a servirsi di loro salassandole per sopravvivere esso stesso. Una volta c' era un maestro per tre classi. Adesso ci sono tre maestri per una classe. Era meglio prima o è meglio adesso? È un kombinata che si nutre con le tasse e che lavora contro la famiglia: più figli hai, più sei costretto a pagare la tassa odiosa e impropria dei libri «nuovi» che ti costano ogni anno centinaia di euro. Forse anche questa, a favore dei «vecchi» voti e contro i «nuovi» libri è una frontiera di quel cambiamento che la gente chiede. Un cambiamento che non è un salto nel vuoto, come nel ' 68, ma un ritorno al passato. Al buon senso e alla logica, ai valori e alle tradizioni di un passato che deve e può tornare. ministro dell' Economia
Tremonti Giulio
Pagina 37
(22 agosto 2008) - Corriere della Sera


Libri migliori e più disciplina 
La scuola va rieducata così

di Francesco Alberoni


Negli ultimi venti anni la scuola italiana è così degradata che sono diventati urgenti due interventi essenziali. Il primo è tornare a distinguere nettamente le materie: italiano, storia, matematica, fisica, scienze naturali e predisporre programmi razionali. Solo così si potranno dare agli insegnanti gli strumenti logici con cui rimettere ordine nella mente degli studenti. Oggi è il caos. Prendete in mano un libro di geografia delle scuole elementari: vi si parla a casaccio dei laghi, del mare, dei monti, delle paludi, poi dell’attrezzatura per il campeggio, ma non una parola sui continenti, gli oceani, i fiumi, le nazioni.
Per la storia si parla dell’evoluzione dell’uomo dalla scimmia, poi di come si fabbrica un villaggio di palafitte, poi si mostra l’immagine di una piramide, ma niente sulla storia vera e propria, egiziana, greca o romana. Nelle superiori ci sono chiacchierate sulle condizioni economico sociali senza i personaggi, senza gli accadimenti, senza le date. In italiano, anziché le opere dei classici, trovate penosi scritti di sconosciuti probabilmente amici degli estensori e, nelle superiori, complicatissimi e astratti metodi di analisi del testo che darebbero il voltastomaco a qualsiasi vero scrittore. Il risultato è che quando i nostri ragazzi fanno i test internazionali risultano all’ottantesimo posto dopo l’Uganda. Perché non hanno un ordine mentale e non conoscono le nozioni fondamentali. Il secondo intervento è ridare, per legge, potere e autorità disciplinare agli insegnanti.
L’arroganza, la maleducazione, il disprezzo con cui spesso gli studenti trattano gli insegnanti — con la connivenza di genitori sempre pronti a difenderli — è vergognoso. E sono inutili le chiacchiere in nome della democrazia e della partecipazione. L’insegnamento non è democratico, è fondato sulla separazione fra chi sa e chi non sa, fra chi insegna e chi impara, fra chi indica i valori ed i comportamenti corretti e chi li deve apprendere. Troppi bambini crescono viziati e capricciosi, troppi adolescenti ignoranti e violenti, convinti che tutto sia lecito. Abbiamo bisogno di maestri che imprimano chiaramente nella mente degli allievi che certi comportamenti non sono solo illegali, ma moralmente turpi e che la formazione di una personalità libera e creativa non richiede solo di coltivare la propria vocazione, ma anche l’autocontrollo e il senso di responsabilità. Una rieducazione radicale.
11 agosto 2008

L’insegnante troppo amico spegne la creatività dell’allievo

di Francesco Alberoni


Finiti gli esami di maturità, per preparare il prossimo anno scolastico parliamo di pedagogia. Uno dei maggiori errori della pedagogia contemporanea è stato quello di ridurre la differenza fra chi insegna e chi apprende, immaginando che l’insegnante debba comportarsi come un amico che assiste lo studente mentre cerca la soluzione da solo. Non deve dargli e richiedergli nozioni, non deve insegnargli un metodo, non deve dargli regole.
L’esperienza invece ci ha mostrato che i migliori risultati educativi si ottengono quando l’insegnante resta fino in fondo insegnante, che trasmette con rigore il suo metodo, il suo amore per la scienza, il suo sapere. Questo non significa che debba essere autoritario e dispotico. Anzi dovrà essere affettivamente vicino al suo allievo, dialogare con lui, ma restando un adulto con la sua esperienza e rappresentare una guida, un modello. Non ci si può aspettare che l’allievo diventi tanto più creativo quanto più viene lasciato solo. È l’insegnante che lo deve aiutare ad accendere la sua creatività. Ma non con giochi e formulette, ma con l’esempio, con una lezione creativa. Un tempo il professore universitario in aula esponeva le sue teorie, le sue scoperte, polemizzava con i suoi avversari scientifici e, in tal modo, coinvolgeva gli studenti nella sua ricerca e nelle sue battaglie.
Essi si sentivano parte di una «scuola» di cui egli era il «maestro». È così che in filosofia c’erano gli allievi di Croce o di Gentile, in medicina di Golgi o di Valdoni, in fisica di Fermi o di Amaldi. Poi potevano criticare, combattere il maestro, ma prima si impadronivano della sua forza e del suo metodo. Maestro ed allievo contribuiscono entrambi al successo educativo e nella stessa misura. Quando lo studente è avido di sapere, il maestro dà il meglio da se stesso. Facendo lezione non si ripete, inventa, pensa ad alta voce, argomenta in modo intenso, convincente. Lo studente lo percepisce e viene coinvolto nel processo. Succede come in teatro dove il bravo attore compie meraviglie quando si confronta con un pubblico attento, competente ed esigente. Ho l’impressione che nella scuola odierna e soprattutto nell’università, dove i corsi sono frantumati in moduli e gli esami fatti con test al computer, venga sempre più trascurato questo aspetto umano del processo formativo. Il risultato sono dei docenti indifferenti e lontani, e degli studenti deboli ed insicuri.
14 luglio 2008

La vera istruzione? Scienza, letteratura e lavoro manuale

di Francesco Alberoni


Non daremo mai abbastanza importanza all'istruzione per l'individuo, per la società. Lo sanno bene le persone dotate di grande intelligenza che hanno incominciato a lavorare giovanissime e sono state frenate dall'aver fatto solo le scuole elementari o le medie inferiori. E pensiamo a quale immensa perdita avremmo avuto se Mozart o Verdi non avessero potuto studiare musica o Einstein fisica. L'istruzione è fra i primi doveri dello Stato verso i cittadini e dei genitori verso i figli. Tutti devono essere messi in condizione di poter partire per fare grandi cose, tutti hanno il diritto di sognare e di provare. Ma sbaglia chi confonde l'istruzione con il diploma, con il pezzo di carta che da solo dovrebbe garantirti un posto di prestigio, di comando. Quello che conta non è il titolo di studio, è il sapere nella sua interezza. Al Centro sperimentale di cinematografia vengono molti giovani per fare il regista e vorrebbero subito mettersi a dare ordini all'operatore, al direttore della fotografia, comandare. Invece devono imparare la storia, la teoria e devono lavorare anche loro alla macchina da presa, alla sceneggiatura, al montaggio, perché solo così padroneggeranno l'intero processo. E questo vale in ogni campo, in medicina dove devi stare accanto al malato, capirlo, o in economia dove devi prima imparare la teoria ma poi sperimentare la vita delle imprese, lavorarvi. Ma sbaglia anche chi confonde l'istruzione col pensiero astratto o con l'esperienza puramente virtuale. Anche qui un esempio semplice. C'è una differenza abissale fra guidare un’automobile in un videogioco e nella vita reale. Non per la guida in sé, ma perché nella vita hai a che fare con altre persone, le loro emozioni, e incontri la sofferenza, la morte reale. Se uccidi in un videogioco non succede nulla, nella vita sei un assassino. L'istruzione è completa solo quando la teoria si confronta con l'esperienza. Io sogno una scuola in cui si studiano rigorosamente tutte le materie letterarie e scientifiche, ma poi si fa anche sport, teatro, musica, e si imparano lavori manuali come l'elettricista, il falegname, il cuoco, il giardiniere e ci si confronta con il risultato. È solo coltivando una rosa reale che mi rendo conto di quante nozioni devo conoscere e di quanta cura, quanta vigilanza devo avere. È solo facendo le cose concrete e di fronte ai risultati che imparo la responsabilità. Un insegnamento che mi servirà qualsiasi mestiere, qualsiasi professione poi io faccia.
16 giugno 2008




Commenti

  1. ma quando inizia la scula?????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????

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